Chi è il “paziente”?

La Treccani riporta che la parola deriva dal latino patiens, participio presente del verbo pati, che significa soffrire, sopportare. L’aggettivo è riferito a colui che ha la virtù della pazienza come disposizione abituale. Il termine si riferisce anche a chi è affetto da una malattia e più genericamente a chi è affidato alle cure di un medico. Nel nostro campo è ovvio che il medico in questione è un medico psichiatra. Ma è altrettanto bene sottolineare che negli anni la definizione si è evoluta e allargata, comprendendo nella sfera di cura del paziente diverse figure professionali, come per esempio l’infermiere, lo psicologo, l’educatore, l’assistente sociale, etc…perché diversi e variegati sono i bisogni della persona. Siamo noi operatori della salute mentale i primi a dare per scontati i bisogni dei nostri pazienti, e soprattutto diamo per scontate le risposte a questi bisogni, che spesso sono nostre necessità, più che delle persone con cui condividiamo il percorso di cura. Perché il paziente è veramente paziente, rimane in attesa di risposte congrue al suo vissuto, un vissuto di disagio che spesso e volentieri non viene compreso realmente. E capita di cucire addosso alle persone delle risposte di cura che sono solo nostre, di noi operatori, ma che poco hanno a che fare con le aspettative dei pazienti, che pazienti, attendono. Pazienti, clementi e tolleranti verso gli altri e verso se stessi, ma non remissivi, sia chiaro. Attendono risposte, attendono di essere compresi, nello sforzo, come G. E. ci racconta nei suoi elaborati. Lui, come alcuni, cerca, quindi quotidianamente forse, di costruire, un nuovo vocabolario per esprimere, comprendere e far comprendere i propri vissuti.

“Per questo nel dolore ho appreso come un infante a plasmare un nuovo strascico di vocali e consonati…”

G.E.

È un bisogno relazionale di essere ascoltati e compresi, è un bisogno personale di mettere ordine nei propri pensieri. Di trovare orecchie che non siano solo più immaginarie, ma reali, alla pari e rispondenti, che facciano eco ai propri diritti e ai propri doveri.

“Il decalogo impazzito è ora pronto ed è questo il comando che mi impongo, trovare buone orecchie, e lasciare blandire la mia goffa inquietudine a parlare, da quel cenno il quale mi dice che ancora non han compreso.”

G.E.

 

Così il percorso di un paziente psichiatrico, colui che vive un malessere legato alla mente e all’anima, è un viaggio in spazi inesplorati della mente, un’esperienza che potrebbe essere paragonata ad una rinascita al di là della sofferenza.

“Una vacanza dalla salute, è, la malattia. Assomiglia ad una camminata in giro per la propria città più che ad una permanenza in un resort di lusso. Allora si scoprono gli angoli che non si credeva che esistessero nella propria città.”

“Per questo sorgo nel disagio con altera possessione per quello che apprendo…”

G.E.

Trovare parole nuove per raccontare la propria storia di dolore, permette di dargli un senso, di trovare persone che la ascoltino e ne costruiscano un significato nuovo insieme. È proprio in quest’ottica che vogliamo interpellare sempre di più gli utenti e la loro voce in uno scambio e una connessione reciprocamente arricchenti. Perché le verità sono relative e soprattutto hanno più sfaccettature, per chi ha fame di esplorarle, così come i vissuti personali, per chi ha fame di esplorarli.